• 2 Maggio 2024 03:03

Clima: eliminare la CO2 non basta

Bymeteogenova

Dic 27, 2023

A seconda dei punti di vista, l’accordo sul clima appena raggiunto alla Cop28 rappresenta una sorpresa – considerando che è stato siglato negli Emirati Arabi Uniti, uno dei cosiddetti petro-stati – una delusione, o forse una via di mezzo.

In ogni caso, per la prima volta i paesi del mondo hanno concordato un allontanamento progressivo dai combustibili fossili (“transitioning away“, si legge nel testo dell’accordo). Anche se è un obiettivo meno ambizioso rispetto all’eliminazione graduale di questi combustibili, si tratta comunque di un passo verso la decarbonizzazione.

Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc) sostiene da anni che l’umanità deve smettere di emettere gas a effetto serra se non vuole fare i conti con disastri climatici sempre più gravi. Ma l’Ipcc ha anche sottolineato che dovremo rimuovere l’anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera per abbassare le temperature, soprattutto se – come ormai praticamente certo – non riusciremo a centrare l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto degli 1,5 gradi Celsius come stabilito dall’Accordo di Parigi.

Ma l’accordo di Cop28 cita solo brevemente la necessità di accelerare lo sviluppo di queste tecnologie. “Ritardare la rimozione della CO2 comporta il rischio di allontanarsi dalla direzione indicata dalla scienza – spiega Ben Rubin, direttore esecutivo e cofondatore del Carbon Business Council, una coalizione di aziende che si occupano di gestione della CO2 –. La rimozione dell’anidride carbonica deve andare di pari passo con l’importante lavoro di riduzione delle emissioni”.

Secondo Gregory Nemet dell’Università del Wisconsin-Madison, quello di Cop28 è un accordo solido in quanto prevede una riduzione del 60 per cento delle emissioni entro il 2035. Il problema è che non riflette l’emergenza in cui si trova l’umanità: più anidride carbonica immettiamo nell’atmosfera, più dovremo affidarci alle tecnologie di rimozione della CO2 per evitare che le temperature salgano ulteriormente. “L’UAE Consensus [il nome ufficiale dell’accordo raggiunto a Cop28, ndr] è debole perché non include un accordo per raggiungere il picco delle emissioni globali entro il 2025 e per fermare gli investimenti nelle nuove infrastrutture per i combustibili fossili – afferma Nemet, coautore di un recente rapporto della Cop che affronta il tema della rimozione della CO2. –. È anche chiaro che la capacità di rimozione del CO2 non è neanche lontanamente sufficiente a compensare l’uso continuo dei combustibili fossili”.

La rimozione della CO2 porta con sé un enigma climatico: rappresenta un imperativo per l’umanità, ma se viene fatta nel modo sbagliato i critici temono che possa diventare una distrazione dall’obiettivo di ridurre rapidamente le emissioni, sottraendo fondi e risorse di ricerca all’energia pulita. Nel peggiore dei casi, la rimozione della CO2 potrebbe addirittura incoraggiare il ricorso ai combustibili fossili, dal momento che permette ai paesi di dichiarare che stanno eliminando anidride carbonica dall’atmosfera per compensare le loro emissioni (il cosiddetto “zero netto”, che l’accordo di Cop28 chiede di raggiungere a livello globale entro il 2050).

Pregi e difetti della Dac
Le tecniche di rimozione della CO2 possono essere tecnologiche o naturali, anche se sempre più spesso si ricorre a una fusione tra le due alternativa. La tecnologia dominante al momento è la cattura diretta dell’aria, o Dac. Si tratta di macchine giganti che aspirano l’aria e filtrano la CO2. Come un purificatore che separa la polvere dall’aria, gli impianti Dac ripuliscono l’atmosfera dalla CO2 (tecnicamente, la rimozione dell’anidride carbonica è una cosa diversa dalla cattura del CO2, che intercetta il gas alla fonte prima che raggiunga l’atmosfera).

La Dac è però una tecnologia nascente e in quanto tale non è neanche lontanamente in grado di operare sulla scala necessaria per ridurre le emissioni globali. Nel 2021, i ricercatori hanno calcolato che sarebbe necessario un enorme investimento annuale, tra l’uno e il due per cento del prodotto interno lordo globale, per eliminare circa 2,3 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2050. Per mettere questo dato in prospettiva, le emissioni globali di CO2 sono attualmente di circa 40 miliardi di tonnellate all’anno, e purtroppo stanno aumentando invece di diminuire. Lo studio del 2021 ha rilevato che avremmo bisogno di un numero di impianti Dac compreso tra quattromila e novemila entro il 2075, e di oltre 10mila entro il 2100, per sequestrare fino a 27 miliardi di di CO2 all’anno.

La Dac potrebbe quindi svolgere un ruolo nella rimozione della CO2 dall’atmosfera, ma il suo impatto sarà proporzionale alla riduzione delle emissioni di CO2. La quantità di denaro necessaria per la tecnologia sarà notevole: “Potremmo davvero scalare abbastanza velocemente da passare da un paio di milioni di tonnellate all’anno ora a, diciamo, un miliardo di tonnellate all’anno nel 2050? – si chiede Nemet –. È su questo punto che sono più ottimista. Potremmo farcela, ma è una sfida. Questo non cambia affatto la nostra politica attuale, o quale dovrebbe essere il nostro obiettivo: dobbiamo iniziare a ridurre le emissioni molto rapidamente e arrivare quasi a zero entro il 2050”.

Anche se si trovasse un modo per scalarla in modo massiccio, da sola la Dac non basterebbe a salvarci da noi stessi. Rimuovere un miliardo di tonnellate di CO2 all’anno nell’arco di tre decenni mentre gli esseri umani continuano a emettere decine di miliardi di tonnellate del gas sarebbe come cercare di svuotare una vasca da bagno con il rubinetto ancora aperto. La promessa della rimozione del CO2, tuttavia, è che potrebbe aiutare a compensare le future emissioni di settori difficili da limitare, come l’industria siderurgica, che richiedono enormi quantità di energia da combustibili fossili per funzionare.

Ma la rimozione e la cattura della CO2 comportano il temuto “rischio morale”: se abbiamo la tecnologia, perché preoccuparsi della decarbonizzazione? Perché disturbarsi a installare pannelli solari e turbine eoliche se possiamo semplicemente annullare le nostre emissioni di CO2? “Dove non è assolutamente utile – e anzi è controproducente – è come stratagemma per le pubbliche relazioni. È quello che stiamo vedendo soprattutto oggi – afferma Jonathan Foley, direttore esecutivo di Project Drawdown, un’organizzazione che si occupa di azioni a favore del clima –; è diventato un’argomento usato dalle grandi aziende petrolifere”. In effetti, invece di chiedere un’eliminazione graduale dai combustibili fossili come speravano scienziati e attivisti per il clima, l’accordo di Cop28 parla di una transizione, un risultato cha fa più felici le società petrolifere (non va dimenticato, poi, che l’utilizzo dei combustibili fossili non produce solo gas a effetto serra, ma anche inquinamento atmosferico particolato, responsabile di un decesso su cinque a livello globale).

L’opzione naturale
Come alternativa, Foley indica l’altra tecnica di rimozione del CO2, quella naturale. Da centinaia di milioni di anni, gli alberi aspirano l’anidride carbonica e la immagazzinano nei loro tessuti. L’idea dietro le “soluzioni basate sulla natura” è quella di proteggere il maggior numero possibile di ecosistemi, in particolare le zone umide e le foreste pluviali come l’Amazzonia, in modo che possano rimuovere naturalmente la CO2 dall’atmosfera. Purtroppo, però, l’uomo sta andando nella direzione opposta: l’Amazzonia è ormai talmente degradata a causa della deforestazione che alcune sue parti stanno passando da bacino di CO2 a fonti del gas.
Mentre con il Dac la rimozione della CO2 è facilmente quantificabile, inoltre, la natura funziona in modo meno schematico. Gli scienziati stanno ancora cercando di capire quanta CO2 può essere immagazzinata in un determinato ecosistema e per quanto tempo. E se la Dac può immagazzinare la CO2 nel sottosuolo, bloccandola a lungo termine, l’alternativa naturale non è altrettanto sicura. Se si ripristina una foresta per poi distruggerla a causa degli incendi, che stanno diventando sempre più potenti con il riscaldamento globale, la CO2 infatti ritorna immediatamente nell’atmosfera.

Per affrontare il problema, i ricercatori stanno perseguendo approcci ibridi che combinano ingegneria e natura. Rimane però il fatto, come sottolinea Foley, che affidarsi alla rimozione della CO2 rischia di far perdere di vista l’obiettivo finale, ovvero ridurre le emissioni. “Penso che dobbiamo avere una posizione più sfumata in questo dibattito, spiegando che esiste una rimozione della CO2 dannosa e che esiste una rimozione della CO2 utile – commenta –. Ma a prescindere da tutto, il 90-95-99 per cento forse del lavoro vero e proprio sarà comunque quello di ridurre le emissioni, indipendentemente da ciò che si pensa sulla rimozione del CO2“.

Fonte: Wired